Abbasso gli schemi, viva la tecnica
Telefona un caro amico: "Ho letto che Mazzarri vuole in "rosa" non più di venti calciatori. Lo dicevi da tempo e la stessa cosa ripete Pioli". Finalmente ci si accorge che al termine della stagione a giocare sono 19, massimo 20, per cui le "rose" pletoriche sono incomprensibili. Lo dico dal '90. Sono cose scontate ma, come sempre, avviene il contrario. E la cosa diverte. Domanda: 1) come si fa a non capire il danno economico per la società, che vede inutilizzato e deprezzato più di un calciatore? 2) non è un problema in più per il tecnico, che deve gestire e allenare un gruppo così numeroso? 3) infine, c'è uno spogliatoio per 26 e più persone? Ne dubito. Alcuni si dovranno spogliare altrove e la divisione porterà a ulteriori spaccature, con amicizie che si consolideranno. Eppure si continua sulla falsariga, per cui, come vuole l'amico, siamo portati a pensare male.
Spero comunque che certi allenatori allarghino la loro visione del calcio. Ricordo, ad esempio, che Giovanni Ferrari, indimenticabile docente a Coverciano, con un palmarès che vedeva 2 Mondiali, '34 e '38, e 8 scudetti, 5 con la Juventus, 2 con l'Ambrosiana-Inter e 1 col Bologna, ripeteva: "Chi è padrone della palla è padrone del gioco. Possono variare i tempi e le tattiche, ma la perfezione tecnica del calciatore è sempre la base fondamentale per ottenere un buon gioco collettivo". Caso strano, a 35 anni dalla sua morte l'ottantenne Mino Favini spiega che "... per imparare lo schema a una squadra basta una settimana, per imparare i fondamentali non basta una vita". L'allenatore più vincente degli ultimi tempi, Allegri, rincara la dose: "Quando sento parlare di schemi mi viene l'orticaria. I settori giovanili sono un dramma. Non si insegna più a giocare al calcio. I giovani crescono come polli d'allevamento. Se ai ragazzi si tolgono estro e fantasia, a calcio non gioca più nessuno. La cosa più difficile è fare le cose facili. Ci vuole praticità".
E, a proposito di praticità, non si può non parlare di Diego Simeone per quello che ha fatto all'Atletico Madrid da quando arrivò, nel Natale 2011. A fronte delle ristrettezze economiche, che costringono a cedere di volta in volta Falcao, Diego Costa, Felipe Luis e, probabilmente, Griezmann, e di una squadra zeppa di complessi e orgogliosa solo del passato, ha portato i colchoneros tra i primi in Europa. Ha vinto l'Europa League nel 2012 e nel 2018, nel 2014 e 2016 ha perso la finale di Champions col Real e, in campionato, sta sempre nei primi 3 posti. Quando è arrivato disse che gli sarebbe piaciuto creare una squadra fastidiosa. Continua a pensarla così, anzi la vorrebbe ancor più fastidiosa. Anche quest'anno è secondo nella Liga e ha conquistato l'Europa League, pur non avendo potuto fare acquisti in estate e con 2 arrivi e 5 partenze in inverno. Da sempre per lui contano i fatti, non le parole. Superfluo aggiungere che, da buon sudamericano, ha uomini dai piedi educati, ma il suo credo è difesa e contropiede. E anche Capello si unisce al coro e ripete che si devono insegnare stop e dribbling e non gli schemi. Aspetto con fiducia che si tornino a vedere le forche e i muri sui campi di allenamento e che gli istruttori ricordino che il piede non ha solo l'interno, ma anche il collo e, soprattutto, l'esterno. Chissà se capiranno?
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