Che danno non marcare!

11.10.2018 10:14 di Claudio Nassi   vedi letture
© foto di Federico Gaetano
Che danno non marcare!

Se è vero, come dice Bruce Weber, che "... il senso per il gioco, per quel che accadrà, non è allenabile, è una dote istintiva", non capisco perché non si debba cercare di limitare quelli che sono baciati da madre natura. Lasciarli giocare è fare harakiri. Se è vero che la gente che si capisce è quella che si domina, perché non si preparano le partite come si deve, dal momento che il regista è il passaggio obbligato, l'allenatore in campo, quello che fa girare la squadra? Non so perché non si faccia l'impossibile per rendere la vita dura ai più forti. Se Jeff Van Gundy, quando parla dell'NBA, dice: "Tutte le squadre hanno talento, ma sono chimica, atteggiamento e professionalità a separare la vittoria dalla sconfitta", afferma che, in partenza, nessuno è battuto. Se altri sono convinti di poter giocare con chicchessia se riusciranno a tenere 95' sopra ritmo; se altri ancora sposano difesa e contropiede per limitare i danni prima e colpire poi, viene da pensare che la tattica abbia importanza. Ma se entri in campo senza timori reverenziali, certo che, se la squadra fa il proprio gioco, non deve aver paura di nessuno, sarebbe opportuno fermarsi a riflettere. Se un allenatore ripeteva che per vincere bisogna aver paura di perdere, suggeriva un'infinità di cose. Dava per scontato che si dovesse conoscere non solo i punti di forza e di debolezza della propria squadra, ma anche degli avversari.

Ed eccoci al regista, il passaggio obbligato. Non c'è chi non sappia che, se si fa giocare, è il punto di forza dello schieramento e, marcato e attaccato, diventa l'anello debole. Se si chiude, si taglia la testa al nemico e, senza testa, come si muoveranno le braccia e le gambe? Poi ci sono le calamite, quelli che catturano un'infinità di palloni; infine gli attaccanti che hanno il gol facile. Perché questi non debbono avere ogni riguardo? Se l'allenatore non avrà preparato la gara prendendo in esame l'eventualità di trovarsi in difficoltà sul piano tattico, si potrà trovare a piangere lacrime amare. Ricordo un Chelsea - Liverpool con Benitez in panca dei Reds. Vidi Makélelé, centrocampista di quantità dei padroni di casa, marcato a pressione da Gerrard, il numero uno degli ospiti. Al momento non mi spiegai la mossa, poi capii. Il francese giocava più palle di tutti, con una percentuale di errore risibile, grazie a disimpegni sul breve. Il problema creato era duplice: si marcava uno che non si era mai trovato in simile situazione e si costringeva a guardare con la massima attenzione Gerrard, centrocampista dal gol facile.

A fine settembre, in Serie A, l'interista Brozovic aveva toccato 125 palloni a partita e fatto 105 passaggi, Pjanic 86 e 75, Biglia 78 e 70. Perché questi, con Lucas Leiva, De Rossi e altri, devono avere vita facile e incidere spesso in maniera determinante? Eppure si dovrebbe sapere che liberi fanno danni e marcati e attaccati lasciano i compagni senza fosforo.  

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