Kobe Bryant e Ronaldo

26.11.2018 10:15 di Claudio Nassi   vedi letture
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Kobe Bryant e Ronaldo

Appena uscito in Italia ho acquistato il libro di Kobe Bryant "The Mamba Mentality". Ero curioso di sapere tutto su chi aveva totalizzato in carriera 33.643 punti, più di Michael Jordan, secondo solo a Kareem Abdul Jabbar e Karl Malone. Non credevo uno potesse raccontarsi in questo modo. Voleva giocare a basket da sempre ed essere un leader. Non conosceva sacrifici per arrivare. Leggendari gli allenamenti di mezzanotte, che nascevano da una grande determinazione e da una miscela di ossessione per il gioco e senso di responsabilità verso il mondo esterno. Iniziando presto la giornata poteva allenarsi di più. Se dalle 11 lavorava per qualche ora, riposava fino alle 3 e tornava in palestra dalle 5 alle 7. Se, invece, cominciava alle 5 del mattino e andava avanti fino alle 7, ci tornava dalle 11 alle 12 e dalle 6 alle 8. Inoltre, l'unico modo per cogliere i dettagli in campo era allenare la mente e fare le stesse cose fuori, concentrandosi su ogni particolare della vita quotidiana. A questo si aggiungevano la passione, che lo portava a divorare i filmati, e il desiderio di conoscere e imparare dai più grandi del passato.

Questa voglia innata di sapere sempre di più lo portava a fare quello a cui i compagni non pensavano. Ad esempio, per lui il post-partita era importante quanto il pre. Mentre gli altri, suonata la sirena, andavano a fare la doccia e a vestirsi in fretta, lui aveva altro da fare. Il ghiaccio era un appuntamento irrinunciabile a fine di ogni gara e allenamento. Metteva due borse davanti e dietro le ginocchia e sulle spalle e infilava i piedi nel ghiaccio per 20'. Aiutava a placare l'infiammazione, a concludere la sessione e a prepararsi per la successiva. Eppoi i bagni di contrasto, che gli avevano prescritto fin da quando era al liceo. 4' di acqua fredda-gelida, seguiti da 3' di acqua calda. Poi passava a 3' di freddo e 2' di caldo, per proseguire con 2' di freddo e 1' di caldo e concludere con 1' di acqua fredda.

Dopo poche pagine sapevo tutto sull'uomo. Avevo capito anche l'ossessione per la cura del corpo di Cristiano Ronaldo. E mi tornavano in mente le parole di uno dei miei maestri, quando consigliava di stare attenti, fin da quando ci alziamo, a mettere sempre in terra il piede destro. Nasceva da qui l'abitudine a considerare determinante ogni particolare, nella vita di tutti i giorni come nello sport. Non a caso, dopo aver letto il libro, non considero più offensivo l'aggettivo che mi veniva rivolto, perché considerato khomeinista. Non ero stato in grado di valutare attentamente i consigli che mi dava Bearzot, nel '58, a Torino, negli allenamenti. Ho cominciato a capire quando, dal '68, giornalista, frequentavo al Comunale Salvadore e al Filadelfia Agroppi, grandi professionisti. Forse da lì nacque l'esasperata cura dei particolari che ho portato avanti da manager. I vantaggi? Incredibili. Per questo mi sembra impossibile che nel 2018 pochi abbiano capito quello che continua a costare gol evitabili. Eppure basterebbe prendere in esame particolari che tali non sono. Per cui, parafrasando James Naismith, l'inventore del gioco del basket, viene da ripetere: "Il calcio è uno sport facile da praticare ma difficile da padroneggiare".  

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