Michels, Cruyff e Fascetti
Quando sento parlare di allenatori che guadagnano cifre incredibili, mi viene da pensare se esista un motivo. So che il migliore, come insegnano i vecchi saggi, è quello che non fa danni e che la miglior formazione la mettono in campo il medico sociale e il Giudice Sportivo, anche se non dimentico che sbagliare la scelta regala problemi. Se però si continua a osannare Guardiola, Mourinho, Ancelotti, Sacchi e altri, che in modo diverso hanno vinto, mi chiedo dove hanno vinto e con quali calciatori e subito si ridimensiona il tutto. Ricordo grandi squadre del passato, dal Torino di Valentino Mazzola alla Honved e alla Nazionale ungherese di Puskas, al Real Madrid di Di Stefano, al Benfica di Eusebio, al Reims di Kopa e Piantoni, al Brasile di Vavà, Didi e Pelé, alla Juventus di Charles, Sivori e Boniperti, al Santos di Pelé, all'Olanda di Michels, all'Ajax di Cruyff, all'Inter di Suarez, al Milan di Van Basten, fino al Barca di Messi, Xavi e Iniesta e al Real di Cristiano Ronaldo e tutte hanno primeggiato grazie a grandi interpreti. Avrebbero vinto senza le loro stelle? Non scherziamo. Non ho mai sentito un calciatore del Milan o dell'Inter dire che Rocco e Herrera capivano di calcio, ma, evidentemente, avevano altre doti, che ne facevano dei vincenti.
Eppure certi tecnici continuano a raccontare e a raccontarci di aver inventato l'acqua calda. In tanti anni le novità che mi hanno fatto sobbalzare le conto sulle dita di una mano. Certamente l'Olanda di Michels, che non offriva punti di riferimento e portava tutti al gol. Poi l'Ajax di Cruyff, che mi fece ammirare per la prima volta un portiere, Menzo, giocare con i piedi come i compagni. Avevo visto a Torino Sentimenti IV e Vavassori abili nelle partitelle, ma erano altra cosa. In occasione di Ajax - Groningen, Vanenburg, partito all'ala destra, finiva terzino sinistro, Rijkaard prima interno e poi stopper, tanto che alla fine solo Bosman e Spelbos non avevano cambiato ruolo. Cruyff aveva detto, per prima cosa, che voleva giocare in undici e non in dieci più il portiere; poi che, facendo ruotare gli uomini in tutte le zone del campo, in qualsiasi momento poteva mettere in difficoltà l'avversario.
Ricordo, infine, uno che, per un carattere non facile, non ha toccato i vertici che avrebbe meritato. La sua "disorganizzazione organizzata" ricordava l'Olanda, ma un conto era guardare la partita da spettatore, altra cosa da diretto interessato e trovarsi di fronte il Varese e il Lecce di Fascetti non era semplice. E, dal momento che non disponeva di fuoriclasse, era più difficile mettere in pratica certe idee. Di lui so quasi tutto. Dal calciatore, agli inizi nel settore giovanile della Fulgorcavi Latina con Dapelo e Occhetta, a un archivio che non ha l'eguale, al Lecce di Jurlano e Cataldo, alla Lazio, al Torino, alla Lucchese e alla breve apparizione alla Fiorentina. Ecco, dopo avergli augurato buon compleanno, lo vedrei a parlare agli allenatori a Coverciano. Avrebbe più di una cosa da trasmettere.
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