Il caso Nainggolan

18.06.2018 10:31 di Claudio Nassi   vedi letture
© foto di Antonello Sammarco/Image Sport
Il caso Nainggolan

Ripeto da sempre che fare l'allenatore è il mestiere più difficile del mondo e che se uno avesse tutte le doti che servono potrebbe fare il Presidente degli USA. A conferma, ove ce ne fosse bisogno, il caso Nainggolan, perché di un caso si tratta. Tutti sanno che Spalletti stravede per il belga. L'ha avuto, quindi allenato e analizzato nei particolari. Lo ha anche trasformato, alla Roma, da tuttocampista in trequartista, con ottimi risultati, perché da 5 gol che segnava nel 2014/2015 e dai 6 del 2015/2016 ha toccato il record: 11. So che ha cercato di portarlo la scorsa stagione all'Inter, ma non c'è riuscito. So anche che nella classifica di Luciano occupava il secondo posto, dopo Milinkovic-Savic.

Ebbene, Spalletti viene smentito dal selezionatore del Belgio, lo spagnolo Martinez, che non convoca Nainggolan per il Mondiale. E' possibile che uno che allena una delle squadre più blasonate ritenga un calciatore indispensabile e uno che ha la responsabilità di guidare una delle nazionali con maggior talento non lo ritenga all'altezza di far parte dei 23 per la Russia? E Martinez non può trincerarsi dietro la solita frase: "E' una scelta tecnica", che è un autentico non-senso. Spalletti, al contrario, si era fissato su Borja Valero, un signor centrocampista. Ma il tempo passa per tutti. Non era riuscito ad averlo alla Roma e all'Inter si è accorto che non era quello sognato. L'allenatore spesso rimane impressionato dal calciatore che in quella partita l'ha messo in difficoltà. Ci sono tante altre considerazioni da fare su cui il tecnico non è solito soffermarsi. Per questo, se gli viene dato più spazio del consentito in campagna acquisti-cessioni, nove volte su dieci crea problemi.

So bene che non potrei fare l'allenatore, troppo difficile, troppo complesso e lontano da me, ma, forse, posso essere un buon giudice. E quando sento che abbiamo i migliori e la migliore scuola, ho più di un dubbio. Il caso vuole che al Mondiale non ci sia un italiano alla guida di una nazionale. D'accordo, abbiamo qualcuno ai primi posti della classifica di coloro che guadagnano di più. Peccato che, anche se vincono, vengano esonerati. Alle corte: in Brasile, nel 2014, c'erano Prandelli, Capello con la Russia e Zaccheroni con il Giappone e stavolta, oltre alla Nazionale, abbiamo perso anche i C.T.. In panchina al Mondiale, infatti, si parla spagnolo, con forte accento argentino. Sono 11, più di un terzo del totale. In testa l'Argentina con Sampaoli, Cuper, Gareca e Pekerman. A noi non rimane che lavorare per recuperare il terreno perduto, cospargendoci il capo di cenere, rivedendo i corsi e dimenticando, per una volta, di essere i migliori, nella speranza di dimostrarlo.     

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