Infortuni e ginnasiarchi
Fra le cose che non capisco del calcio c'è la sequela di infortuni muscolari cui si assiste. Uno studio dell'UEFA di un paio d'anni fa li quantificava tra il 40 e il 45% degli eventi totali. Al 23 aprile lo stop del centrale della Roma Kostas Manolas è stato il 46° della stagione. Fortunatamente la risonanza magnetica non evidenziava lesioni all'adduttore che l'aveva costretto ad alzare bandiera bianca il sabato a San Siro. Oggi la speranza è di non arrivare a 50 a fine campionato. Nel 2015/16 qualcosa di simile lo visse la Juventus, ma gli infortuni muscolari pare si fermassero a 35. Domandiamoci perché, se in passato questo non si verificava. Non discuto il presente, ma fatico ad accettare quello di sbagliato che porta il progresso. Se prima ad allenare una squadra bastavano il tecnico e il secondo e gli infortuni muscolari non si avvicinavano ai numeri attuali, domandiamoci perché.
So perfettamente che si risponderà: gli impegni sono aumentati, si gioca tre volte alla settimana e a un'intensità superiore. Ma le partite durano 57/58' effettivi, inframmezzati statisticamente da 100 interruzioni, per non parlare dei 15' di riposo all'intervallo, che permettono di tirare il fiato, bere un tè, stendere le gambe e prendere una vitamina o una zolletta di zucchero. Né quando la squadra attacca i difensori scattano e allungano, eccezioni escluse, così se l'azione è a dx il reparto sx non si affanna, eccezioni escluse.
Non dimentico la pressione e lo stress. Infatti non sono d'accordo con Boris Becker quando dice: "La pressione è quella che avverte il minatore che si spacca la schiena tutti i giorni per garantire tre pasti alla famiglia". Perché il calcio non è il tennis e il calciatore ha un dispendio di energie nervose superiore, per essere sollecitato ogni giorno dai tifosi, per leggere, stupidamente, tutto quello che viene scritto, ascoltare le tante radio e guardare tutte le tv. Non ha ancora capito che se gioca a Roma deve leggere i giornali di Milano e viceversa. Altrimenti cuoce.
Ebbene, lo capirà il laureato in scienze motorie a cui si affida, spesso, la preparazione, senza conoscere la psicologia del calciatore? Sarà intelligente l'allenatore, insieme col secondo, nel seguire il lavoro e correggere certi esercizi? Non sarebbe opportuno che il preparatore servisse per recuperare gli infortunati? A meno che, confrontandosi col tecnico, non avesse le stesse idee. Quando il Torino affrontava il Milan e Agroppi doveva marcare Rivera, andava in partita fin dalla domenica sera precedente e, se Fabbri gli avesse tirato il collo in settimana, sarebbe arrivato alla gara sulle gambe. Conoscendolo, graduava la preparazione per averlo al meglio. Semplice, no? Ma siamo sicuri che tanti ginnasiarchi abbiano la capacità di capire, se, per di più, non hanno avuto esperienze sul campo? Il numero degli infortuni dice di no!
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