La verità? Sta da una parte sola

05.12.2016 11:18 di  Claudio Nassi   vedi letture
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La verità? Sta da una parte sola

Di tanto in tanto si riapre il dibattito, come nei giorni scorsi su La Nazione, tra quelli che antepongono la prestazione al risultato e chi vince. Fatico a capire perché, come direbbe Lotito, "Primum vivere, deinde philosophari". Alcuni, infatti, si divertono a filosofeggiare. Provo a sbilanciarmi, confortato da giudizi di grandi personaggi e saggi. Oriana Fallaci puntualizzava: "Non è vero che la verità sta sempre nel mezzo, a volte sta da una parte sola", ricordando certamente anche una frase di Anton Cechov: "Si dice che la verità trionfa sempre, ma questa non è la verità". Sono partito da qui per risalire a Pitagora quando ripeteva che "... il mondo è costruito sul potere dei numeri". Infatti raramente tradiscono. Più drastico l'Ingegner Ferrari: "Il secondo è il primo dei perdenti" e non da meno il coach dei Green Bay Packers, Vince Lombardi: "Vincere non è tutto, è l'unica cosa". Mi sembra scontato affermare che a livello professionistico l'imperativo categorico è vincere. Così chi continua a vincere nel calcio deve anche giocar bene, altrimenti, a lungo andare, non vince. Se si allinea pure Guardiola, che molti ritengono l'allenatore numero uno al mondo, non si può non credere. "Ha ragione sempre chi vince - dice -. In bocca a uno sconfitto la vittoria morale è soltanto una scusa. Il calcio è competizione. Chi vince ha fatto le cose in modo migliore".

Poi Larry Bird, il miglior giocatore bianco di basket di sempre, ricorda chi determina il successo: "La differenza principale tra una superstar e un grande giocatore è che il campione è capace di far giocare bene i suoi compagni e di vincere". Quindi se vincere è l'imperativo non è di secondaria importanza schierare i campioni. Penso al coach con più anelli nell'NBA, gli 11 di Phil Jackson, e trovo che ne ha vinti 6 a Chicago con Jordan e Pippen e 5 a Los Angeles con Shaquille O'Neal e Kobe Bryant. Se guardo ai 5 titoli consecutivi del Real Madrid in Coppa Campioni leggo Di Stefano, Santamaria, Gento e compagnia, nella Honved e nell'Ungheria Puskas, Czibor e Hidegkuti, nel Brasile Pelé, Didi e Vavà, nel Milan Liedholm, Schiaffino e Grillo, nella Juventus Boniperti, Charles e Sivori, nell'Inter Suarez, Burgnich e Mazzola, nell'Ajax e nell'Olanda Cruyff, Keizer, Neeskens e Krol, fino ad arrivare al Milan di Van Basten, Rijkaard, Baresi e Maldini, al Barcellona di Xavi, Iniesta e Messi, al Real di Ronaldo, Bale, Sergio Ramos e Modric e così via. Tutto questo non mi fa dimenticare John Wooden, santone di UCLA nell'NCAA: "Nessuno vince senza materiale, ma non tutti riescono a vincere col materiale".

Alla fine ci si rende conto che gli assertori del calcio spettacolo "... battono la grancassa e fanno tanto rumore perché - come dice Maeterlinck - è vuota". Ho l'impressione che abbia ragione Ermanno Olmi: "Quando vinci nessuno ti perdona il successo", o Liz Taylor che ripeteva: "Non c'è nessun deodorante come il successo". E allora non viene da pensare che la verità, stavolta, sia da una parte sola?      

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