Arrigo Sacchi

21.01.2013 12:38 di  Claudio Nassi   vedi letture
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Arrigo Sacchi

Alle volte è indispensabile fare sosta. Certamente quando senti parlare o leggi Sacchi. Ma secondo voi Arrigo lo è o ci fa? In una sua intervista di giorni or sono dal titolo: "E ora basta col catenaccio", racconta che "... per il Nord Europa il pallone è uno sport con regole ferree, per i Paesi latini è uno spettacolo e per noi, invece, una delle tante vie per vincere arrangiandosi". E poi: "... c'è solo la paranoia della vittoria a cui sacrificare tutto, soprattutto la conoscenza e il lavoro, ostacoli per lasciare il campo alla piccola furbizia, direi alla furberia". Un giorno mi colpì una frase di Moratti: "Nel calcio mi ha sorpreso la serietà con cui si dicono tante cose che non rispondono al vero".

Ma passiamo dalle parole ai fatti. Il nostro mister, offensivista convinto, in sei campionati, due al Parma e quattro al Milan, ha avuto per quattro volte la miglior difesa e per due volte la seconda e ha subito da un minimo di 14 gol a un massimo di 27, senza mai avere il miglior attacco. Numeri che fanno storcere la bocca a un vero offensivista, Zeman, che ha sempre il miglior attacco e la peggior difesa. Lascio perdere il fatto di aver portato al Milan Mussi, Bianchi e Bortolazzi o, tornato a Parma, perso Rossi, quasi regalato al Manchester United; poi riscattato per 18 miliardi il restante 50% di Marchionni dall'Empoli e acquistato per 23 miliardi Bresciano dalla stessa società. Certe cose non le prendo neppure in considerazione, perché compito dell'allenatore è allenare, non confezionare la squadra. Non ne è capace.

Ma la cosa che più diverte è il continuo attacco a chi vince e, a suo dire, non gioca bene. Ritengo che si possa avere fortuna una volta e vincere, la cosa può ripetersi una seconda, una terza, una quarta, però se continui a vincere devi per forza giocare meglio, altrimenti non vinci. Anche se a livello professionistico, come dicono gli americani, non conta vincere, conta solo vincere. Non mi dilungo sul fatto che per due volte rischia l'esonero al Milan, né sui flop successivi, ma, a proposito di bel gioco, dimentica la finale Intercontinentale con il Medellin di Maturana, giocata in 30 metri e caratterizzata da mille fuorigioco. Un obbrobrio. O quel Real Madrid - Milan in cui i fuorigioco furono 150 e la prestazione da dimenticare. E in nazionale? Se escludo Olanda - Italia, quando ha regalato spettacolo? Si è mai chiesto che cosa avrebbe fatto senza quattro fuoriclasse come Baresi, Maldini, Rijkaard e Van Basten? L'allenatore non vince le partite, perché non va in campo, quindi non fa gol né assist e il migliore, come vogliono i vecchi saggi, è quello che non fa danni. La conferma, ove ve ne fosse bisogno, viene dal Barcellona che, vedovo di Guardiola, avrebbe dovuto subire contraccolpi. Guarda caso il "secondo", Tito Villanova, ha continuato a vincere. Come quando è mancato Villanova il "terzo", Jordi Roura, non l'ha fatto rimpiangere. Ma che cosa sarebbe successo senza Messi, Xavi e Iniesta? Dico una sciocchezza se affermo che Guardiola avrebbe vissuto sotto la spada di Damocle dell'esonero, Villanova non si sarebbe seduto in panchina e men che meno Roura? Perché, come asseriva Alfredo Di Stefano: "Gli allenatori contano poco, l'importante soprattutto è il talento".   

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