Ellena, Rabitti, Vieri e Battara

08.07.2020 09:00 di  Claudio Nassi   vedi letture
Ellena, Rabitti, Vieri e Battara

Mi hanno spedito un libro, con dedica. Ringrazio. Sfogliandolo ho apprezzato la fatica e la preparazione, ma sono rimasto col dubbio se sia stato inviato per spiegare che il calcio è diverso da quello di cui ci siamo trovati a parlare. In compenso mi ha fatto riflettere se concetti messi in atto avevano radici. Qualche anno fa un D.S. telefonò per dire che il calcio è un altro. Lo invitai a Pistoia. Non si fece vivo. Eppure sono stato sempre critico con me stesso. Non a caso uno dei miei interlocutori preferiti era Ellena, un allenatore che non credeva in me, quando giocavo nella "De Martino" del Torino. Lo stimavo. Aveva visto giusto. Così non ho mai dimenticato una frase di Ercole Rabitti: "Non rendere il facile difficile attraverso l'inutile". Eppure ho sempre cercato di ottenere risultati tecnici ed economici. Evidentemente sono stato quasi sempre fortunato. Sono tornato all''81/'82, quando al Master di Coverciano per D.S. ascoltavo le lezioni di Piantoni, professore alla Bocconi, e di Catturi, professore all'Università di Siena. Erano difficili da seguire e non servivano.

Rimango dell'avviso che il calcio non si impari sui banchi di scuola, ma sia una trasmissione di esperienze. Quando vedo che in Serie A ci sono tredici portieri stranieri, domando perché. Ai tempi in cui c'erano preparatori come Persico, Vieri, Battara, Castellini e altri, i nostri numeri uno non avevano rivali. Così i difensori e, spesso, i centrocampisti. Se prima ogni anno quasi tutte le società portavano uno o due ragazzi dal settore giovanile nella rosa della prima squadra, significava che gli istruttori avevano fatto un buon lavoro. Se oggi non vedo un uomo sul primo palo sui calci d'angolo e nessuno a ballare davanti a chi calcia con l'interno piede o l'esterno, se si marcano a zona quelli che la mettono sempre dentro, se troppo spesso si prendono rigori perché si tira la maglia all'avversario o non si mettono le mani dietro la schiena e se non abbiamo ancora capito come disporsi sulle punizioni dirette, senza parlare di quanti conoscono l'uso dell'esterno o di campi di allenamento privi di forche e muri, siete sicuri che vada bene così? Se subiscono tre o quattro gol a partita le squadre candidate a retrocedere, siete certi che i tecnici siano nel giusto?

Potrei continuare e concludere che non si va mai alla radice dei problemi, sia per i settori giovanili che per le prime squadre. Può darsi sbagli, ma quando sento parlare di schemi, o leggo e ascolto parole in libertà, mi viene l'orticaria. 

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