I vivai degli altri

19.12.2022 09:00 di Claudio Nassi   vedi letture
© foto di Matteo Gribaudi/Image Sport
I vivai degli altri

Sono alla 999° puntata di Stazione di sosta. Ho cercato di portare l'esperienza maturata in questi pezzulli, tenuto in considerazione anche l'ultimo dei tifosi, se diceva la cosa giusta, e giornalisti stimati, che cercavo spesso per sapere dove sbagliavo. Ero selettivo al massimo. I tecnici avevano le loro idee. Ho sempre ascoltato. Poche volte condiviso. Vedevano il loro calcio. Non tutti, certamente molti. L'opera di convincimento a volte dava risultati, altre no. Il compito è sempre stato quello di ridurre la percentuale di errore. Forte dei consigli di tanti personaggi, mi sono avventurato in critiche talvolta dure. Non ho mai accettato chi riteneva di inventare quello che era stato inventato.

La premessa per parlare dell'inchiesta sui vivai di Salvo sul settimanale della "rosea" Sportweek, coi giudizi di Viscidi, Ticci, Di Biagio, Filippo Galli, Guidi, Vergine, Lietti, Fusco e David Endt. Imparo dal primo che"... i nostri calciatori fanno poca pratica e quella poca li appiattisce, perché manca tutta la parte individuale". Mi cadono le braccia. Non è il responsabile del settore? Eppure il gioco è semplice, come insegnava Béla Guttmann, tecnico del Benfica: "Quando sei in possesso della palla smarcati, quando ce l'hanno gli altri marca. Il calcio è tutto qui". A livello giovanile ancora più semplice. Se si gioca con i piedi, si dovrebbero usare in tutta la loro estensione: interno, collo, esterno.

Seppoi andiamo per esclusione, solo gioventù, velocità, talento e fare gol non si possono imparare. A conferma Fusco dice: "Nei vivai avremmo bisogno di maestri più che di allenatori. Il vecchio muro migliora, gli allenamenti individuali migliorano". Per la prima volta sento parlare di muro, un tempo indispensabile, come le forche, che un presidente tra i più preparati chiese cosa fossero. Stavolta, grazie a Fusco, Filippo Galli e David Endt, ex team manager dell'Ajax, si è parlato di calcio. Al Barça, dice Fusco, il motto è "un nino, una pelota", "un bambino, un pallone". All'Ajax, invece, alla base della loro filosofia restano tecnica, velocità, visione di gioco e personalità. Il 75% del lavoro è con la palla e in palestra si curano soprattutto esercizi per la stabilità, il bilanciamento e la coordinazione. I pesi? Senza esagerare: l'agilità è più importante della forza. Tutto semplice, quasi scontato. Peccato da noi non sia così.    

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