L'orchestra dei toscani

29.07.2022 09:00 di Claudio Nassi   vedi letture
L'orchestra dei toscani

Quando nel giugno '79 arrivo alla Sampdoria, salvata da Mantovani dal fallimento, ha solo un'ottima immagine e maglie stupende. Dovete sapere che le difficoltà maggiori si trovano all'interno del club, con gente che ama parlare e mettersi in mostra. Ero un bulldozer, forte dei risultati di Lucca e Pistoia. Non ammettevo errori. Dovevano parlare solo il Presidente, l'allenatore e i calciatori. La linea politica sarebbe stata una e avremmo dato all'esterno un'immagine perfetta. Anche se gli altri dirigenti non erano stati allontanati dal Presidente, non avevano voce in capitolo e, non potendo contestarlo, ero diventato il bersaglio. Dalla loro il giornalista che faceva opinione e la vita non era facile. Soprattutto con Mantovani in Svizzera, preso da problemi personali.

La premessa per spiegare l'esonero di Riccomini alla quinta giornata, dopo aver perso un campionato per l'assenza dell'unico uomo insostituibile: il presidente. Quando, alla fine della stagione '80/'81, dissi ad Enzo che non poteva rimanere, perché, anche se il bersaglio ero io, lui era allo scoperto e non difendibile, rispose: "Non ci sono problemi. Faremo la squadra ancora più forte". Dal mercato uscì una Samp più competitiva, ma alla quinta giornata avvenne il cambio. Fui più deciso. Riccomini capì. Finì l'avventura a Genova di chi aveva tutto per vincere. Mancava l'ultimo gradino per arrivare al top: far bene nella grande città. Aveva mostrato un limite, non era un comunicatore. Bella presenza, elegante, pratico, serio, competente, ottima famiglia, doti che lo avevano fatto apprezzare in provincia, ma in città mancava un particolare e non il meno importante. Decisi di lasciare a fine campionato. Non ammettevo di perdere, ma avevo perso, perché impotente. So bene che, quando si scriveva che a Genova era arrivata "la banda dei toscani", con Nassi, Riccomini e Piaceri, il Presidente correggeva il tiro con "l'orchestra dei toscani", ma non era sufficiente.

Ho detto tutto di Enzo, stimato e benvoluto, uno dei pochi in grado di leggere la partita dalla panchina. Non sbagliava una sostituzione ed aveva principi da cui non derogava. Una squadra deve avere lo 0-0 nelle gambe. Non parlava male di nessuno. Aveva fatto due promozioni in A, vinto in categoria inferiore e conquistato simpatia in ogni dove. Dei piombinesi che avevano avuto fortuna nel calcio, Vieri, Agroppi, Sonetti e il sottoscritto, era il più intelligente, compreso l'uomo di Camaiore, Giampaolo Piaceri, ormai dei nostri. Era di un'altra categoria. L'ho ripetuto a Laura, quando mi ha detto che se ne era andato senza soffrire. So bene di aver perso un gigante, ma contento di averne goduto stima e amicizia, uguale, o forse più grande, di quella che avevano i nostri padri. 

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