La "Mourinhomania"
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Tutti sanno quanto siano abili i portoghesi. Non si dice che sappiano entrare da qualsiasi parte senza pagare? Questo nella vita di tutti i giorni. Nel calcio invece, a mio avviso, sono anni luce avanti. Facilitati dalla lingua, hanno porte aperte in Brasile. Credo sappiano quanto avviene giorno per giorno e, con questo, la possibilità di acquistare per una girata di cappello i migliori giovani. Regolarmente Benfica, Porto e Sporting Lisbona li vendono a prezzi d'affezione alle squadre inglesi, solite abboccare come merli. A loro non interessa arrivare primi, come avviene per argentini e brasiliani, in nuovi mercati. Preferiscono portare a maturazione il prodotto e realizzare lauti profitti.
Figlio di tanto calcio è Josè Mourinho, oggi allenatore della Roma. Sconfessa il famoso detto "nemo propheta in patria" se, nel 2013, l'Amministrazione Comunale di Setubal, sua città natale, dopo avergli consegnato le chiavi nel 2009, gli intitola una via. Allena il Porto, il Chelsea, l'Inter, il Real Madrid, il Manchester United e il Tottenham prima di arrivare in giallorosso. Definito The Special One, è stato premiato come miglior allenatore FIFA nel 2010 e UEFA nel 2004, '5, '6, '10 e allenatore del secolo dalla Federazione Portoghese nel 2015. E' impegnato nel sociale. Da modesto difensore, dopo essersi laureato all'Istituto Superiore di Educazione Fisica, inizia a vincere coppe a gogò e, dopo 747 partite, conta 465 vittorie e 113 sconfitte.
Ebbene, questo tecnico, l'unico ad aver vinto le tre principali competizioni UEFA, Champions, Europa League e Conference, detiene anche il record di Champions e Europa League vinte più volte, per giunta con due diverse squadre, oltre alla più alta percentuale di vittorie in Premier, 66%. Eccolo insegnare alla Roma il tanto bistrattato calcio italico, difesa e contropiede. Se qualcuno avesse dubbi, ricordo la finale di Conference a Tirana contro il Feyenoord, la partita interna con la Juventus, quando si presentò con il falso nueve e un centrocampo dai tanti attori, fino alla semifinale di Europa League col Leverkusen. Non schiera il doppio regista, come spesso la Nazionale per la gioia degli avversari, né è l'assertore di un calcio propositivo e europeo, come predicano altri. Vuole solo vincere o, se non è possibile, non perdere. Potete essere certi che sta già preparando la finale di Budapest col Siviglia. Come? Cura maniacale delle palle inattive. Chissà se spera di arrivare ai rigori!
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