Oriana Fallaci

06.11.2023 09:00 di  Claudio Nassi   vedi letture
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Oriana Fallaci

Parafrasando Oscar Wilde verrebbe da illuminarsi d'immenso: "Mi piace parlare di calcio, è l'unica cosa di cui so tutto". La verità è che so tutto del nulla, come voleva Wilde, ma il poco rimasto lo devo agli insegnamenti di chi sapeva infinitamente di più. Dal momento che si tratta di grandi personaggi, viene da riproporli, perché anche i tre amici tre che ascoltano Lady Radio o leggono TuttomercatoWeb si rendano conto che siamo ai più alti livelli.

Larry Bird: "La differenza principale tra una superstar e un grande giocatore è che il campione è capace di far giocare bene i suoi compagni e vincere". Ricardo De Leon: "Nel calcio non esistono verità assolute, il migliore è il campione". Alfredo Di Stefano: "Gli allenatori contano poco, l'importante, soprattutto, è il talento". Jorge Valdano: "L'intuizione è un'esclusiva individuale. Da qui la diversità degli assi. La loro unicità". Bruce Weber: "Il senso del gioco, per quel che accadrà, non è allenabile, è una dote istintiva". Vujadin Boskov: "Un fuoriclasse vede un'autostrada dove gli altri vedono un sentiero". Ercole Rabitti: "Non rendere il facile difficile attraverso l'inutile". Asa Nikolic: "Il miglior allenamento è quando un allenatore impara qualcosa dai giocatori". Pat Riley: "Se non c'è la vittoria c'è la disperazione e nessuno stadio intermedio". Alle corte, potrebbe aver ragione Oriana Fallaci: "Non è vero che la verità sta sempre nel mezzo, a volte sta da una parte sola".

Ritengo difficile non trovarsi d'accordo con tanti che sono stati ai vertici dello sport. Per questo, quando si sente parlare di "giochisti" e "risultatisti", o di calcio propositivo e europeo, bisogna dare una volta per tutte un taglio. Le cose non sono come danno ad intendere. Lo stesso Pep Guardiola dice: "Ha ragione sempre chi vince. In bocca a uno sconfitto la vittoria morale è soltanto una scusa. Il calcio è una competizione. Chi vince ha fatto le cose in modo migliore". Infine, per spiegare posizioni apparentemente inspiegabili, ci soccorre un cardinale: "Per diventare Papa bisogna essere un sant'uomo. Poi bisogna aver dato prova di capacità organizzativa. Infine c'è bisogno di un diavolo che ti porti". 

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