Una crisi senza fine

12.08.2022 09:00 di Claudio Nassi   vedi letture
Una crisi senza fine

Finalmente la stampa si è mossa con un titolo molto chiaro: "Perché il calcio italiano è in declino?". Franco Arturi sulla "rosea" ha toccato il tasto più importante. A dire il vero anche qualche altro aveva sfiorato il problema. Mai così. Riporto alcune frasi: "In vent'anni siamo stati superati da tutti, o quasi. Ma è una situazione irreversibile? Il dibattito si è aperto per la denuncia di Urbano Cairo, che ha indicato le leve su cui agire: accordi, anche internazionali, sul tetto degli ingaggi, spinta e valorizzazione dei vivai, uscita dalle continue diatribe, stadi di proprietà. Eppoi una nazionale che per due cicli consecutivi non si qualifica al Mondiale è la dimostrazione della crisi". Arturi parla anche di valori sportivi. Spiega perché la Premier è così distante, grazie a stadi ordinati, spettatori senza barriere e tutti seduti, amore ad oltranza, ma controllato, per la propria squadra e chiude col fatto che non abbiamo capito niente, perché su questo terreno si combatterà la sfida del futuro, dove litigiosità, settarismi e paralisi decisionali non dovrebbero essere ammessi.

Dopo aver ringraziato, mi permetto una considerazione. La ripeto dal 2000, anno in cui fu commissariato Coverciano. Chiamato dal Vicepresidente Mazzini a collaborare, ripetevo che il business del calcio dipende dalla partita della domenica. Perciò bisogna migliorare lo spettacolo, privilegiando la tecnica. Se anche Zeljko Obradovic, il coach più vincente del basket europeo, dice: "Non c'è tattica più importante della tecnica", bisogna farne tesoro. Il calcio non si gioca con i piedi? Non sarebbe opportuno sfruttarne l'intera superficie, che prevede l'interno, il collo e l'esterno? Quanti sono i calciatori che conoscono l'uso dell'esterno? Dionisio Arce diceva nel '58 a Torino che solo i grandi conoscono l'esterno. Ma se per un sudamericano era scontato, non lo è da noi, dove i maestri non esistono più e dai corsi non arrivano istruttori preparati, quindi in grado di insegnare.

Se nei campi di allenamento non si vedono forche e muri, vuol dire che non abbiamo capito nulla. La casa si costruisce dalle fondamenta. Dobbiamo cospargerci il capo di cenere e tornare a scoprire quello che era scontato per i vari Rabitti, Ussello, Malatesta, Comini, Bonilauri e compagnia. E' un problema di ore di lavoro e torneremo a costruire in casa portieri, difensori e centrocampisti e a vedere ogni anno giovani entrare a far parte della rosa della prima squadra. Da qui discenderà il resto. Ma ci sono dirigenti all'altezza per realizzare questi programmi?

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